Nonostante tutto anche quella mattina doveva uscire. Le fatiche del suo incarico la attendevano. Si alzò con sforzo e mentre si lavava i denti con lentezza osservò preoccupata l’immagine che lo specchio le restituiva. Era quella di una faccia stanca con due occhi cerchiati e impauriti. Un’aspetto non facile ad accettare.
Prima di aprire la porta si soffermò; incerta posò la mano sulla
maniglia, respirò profondamente ed uscì. La distanza che la separava
dall’auto di servizio era minima ma più volte si voltò indietro
controllando le cose che le erano vicino e le persone che in quel
momento percorrevano la stessa via.
Gianni, l’autista, l’aspettava puntuale all’angolo della strada.
Appoggiato di schiena all’auto scorreva lo schermo del suo smartphone
sprofondato nel suo profilo Facebook. Si accorse di lei con la coda
dell’occhio e si affrettò a salutarla: “Buon giorno signora Sindaca,
prego” le disse aprendo la portiera posteriore. “Preferirei sedere
davanti, grazie” gli rispose. Gianni la guardò un po’ sorpreso e di buon
grado la fece accomodare nei sedili anteriori.
La macchina si mosse nel traffico caotico della capitale. L’esperienza
di guida di Gianni, faceva sgusciare il mezzo tra le fila di auto che si
snodavano nei viali verso il centro. Lei teneva la borsa sulle gambe
strette. Il braccio destro teso a prendere saldamente la maniglia appena
sopra la testa. Il corpo irrigidito a contrastare i bruschi movimenti
della macchina. Lo sguardo invece era come intimorito, turbato. Gli
occhi seguivano le auto di fianco.
Ogni autista, ogni passeggero avrebbe potuto essere la causa dei suoi tormenti. Troppe cose strane erano accadute, troppi eventi negativi avevano intralciato il suo lavoro. Chi le voleva del male? Chi voleva che alla fine il suo operato fosse un fallimento? Ma gli autobus si incendiano perché vecchi? E le scale mobili della metro si rompono perché sono da manutenere? Chi metteva apposta i rifiuti fuori dai cassonetti? Che fosse un complotto contro di lei? Quante cose da sapere, quante da affrontare.
I pensieri che la opprimevano si scossero insieme alla macchina che
sobbalzò pesantemente su una buca particolarmente profonda della strada.
“Ahh queste buche” disse Gianni, ma il suo tono polemico si strozzò con
imbarazzo guardando di fianco la Sindaca come a scusarsi dell’avventata
constatazione. Ma lei era ritornata a scrutare le auto che si
soffermava vicino ad ogni semaforo rosso. Poi, all’improvviso qualcosa
accadde.
Una frenata violenta, brusca, inattesa. L’auto si inchiodò, qualcosa
aveva indotto Gianni a quella avventata e rovinosa manovra. La borsa
della Sindaca volò via. Nonostante la cintura la testa andò bruscamente
in avanti e la fronte urtò con violenza sul vetro. L’auto che seguiva
non riuscì a frenare in tempo e impattò con forza posteriormente il
mezzo che fu scaraventato qualche metro avanti. Il rumore disarmonico e
angoscioso delle lamiere contorte e dei fari rotti, finalmente cessò.
Lei aprì la porta lentamente, una mano sulla fronte sanguinante, le
movenze incerte. Ancora, riuscì a pensare confusamente, ancora qualcosa
di negativo,
di strano, di ostile che accade. Fu il gatto nero che attrasse la sua
attenzione; uscì malconcio da sotto la macchina accompagnato dalle
imprecazioni di Gianni che per non ucciderlo aveva tentato la disperata
frenata.
L’animale aveva attraversato la strada improvvisamente e sarebbe
stato certamente schiacciato dalle ruote dell’auto di servizio se il
destino non fosse virato in suo favore. Il gatto zoppicante si fermò
quasi ai piedi di lei, alzo la testa e con una vitalità inaspettata
mostrò minaccioso e mostruoso i denti aguzzi, abbassò le orecchie, emise
un terrificante ringhio e gli occhi si fecero maligni. Lei fece un
passo indietro come
a proteggersi, lo guardò avviarsi verso gli alti arbusti che invadevano
quasi interamente il marciapiede. Il sangue stava gocciolando sul
sopracciglio, mentre gli occhi le si stavano velando di lacrime. Troppe
cose strane, troppe avversità, troppe fatalità. Improvvisamente il gatto
nero riapparve tra l’erba del marciapiede.
Sembrò fissarla con sguardo beffardo e cattivo. “Strane coincidenze” pensò e iniziò ad avere paura.