L’aria fredda delle 5 del mattino si faceva sentire; la notte ancora stellata preannunciava una bellissima giornata. Avevo risparmiato un po’, non era stato facile ma oggi potevamo permetterci una giornata a sciare. Giovanna aveva già messo tutto nel portabagagli e eravamo pronti per partire. I nostri tre figli ancora assonnati si sarebbero sicuramente riaddormentati al dondolio del viaggio. L’autostrada ci accolse libera e veloce. Alla radio una musica piacevole ci accompagnava. Sorrisi a Giovanna e guidai per un po’ con una mano sola tenendo con l’altra la sua. Dallo specchietto vidi i bambini che dormivano. Marco e Riccardo era appoggiati l’uno all’altro mentre Caterina, nonostante il piccolo spazio, aveva rannicchiato le gambe e si era distesa appoggiando la testa sulle gambe di Marco. Ero certo che quello che avvertivo era felicità. Arrivò il giorno, poi la fine dell’autostrada, i tornanti e infine le montagne e la neve. Tutto in quei luoghi appariva ben organizzato, efficiente. Tutto era funzionante, perfetto. Il sole splendido arricchiva la scena. Arrivammo proprio nel parcheggio degli impianti moderni e luccicanti. Sembravano una giostra di un luna park e infatti dei giochi c’erano in un bel recinto di legno tutto ben spalato dalla neve. Le assi colorate arcobaleno, grandi pupazzi sorridenti e tanti bei giochi per piccoli. Altalene, scivoli. Era stato costruito da chi gestiva l’impianto, per divertire i bambini che si trovavano lì. Ma sbagliavamo, non era per tutti. Una donna nell’uniforme della società che gestiva la funivia stava urlando e sbraitando proprio davanti al cancello del piccolo parco. Frasi pesanti, offese contro una giovane donna di colore che teneva per mano due piccoli bimbi. Avevano vestiti improbabili per quella temperatura. Uno dei due piccoli piangeva quasi in silenzio, l’altro aveva gli occhi spalancati e spaventati e si rifugiava tra le gambe della mamma. “Basta” urlava la donna bianca “qui non potete entrare, state invadendo tutto e se non sai leggere l’Italiano sono cavoli tuoi, via da qui, pezzente”. La donna nera aveva la testa abbassata e gli occhi tristissimi, si voltò e si incamminò nella neve tornando da dove era venuta. Mi spostai davanti al cancello e lessi il cartello che vi era appeso. “Giochi riservati ai bambini Italiani, firmato l’Amministrazione Provinciale”. Mia figlia Caterina mi chiese: “Babbo ma perché quei bambini non possono giocare, ci sono tante altalene e sono tutte vuote?”. La guardai smarrito e non seppi trovare le parole per rispondere. Incrociai poi gli occhi di Marco e Riccardo che, più grandi, avevano compreso ed erano rimasti turbati. Mi misi in fila per i biglietti della funivia con tutti e tre i figli che mi stavano vicino. Arrivammo finalmente alla finestra della biglietteria. Mi accolse il volto della donna che aveva scacciato quella mamma nera. “Allora” mi disse sfoggiando un grande sorriso “facciamo i biglietti per questi bei bambini?”. Rimasi zitto con il denaro in mano, perplesso, confuso e scosso. Guardai in basso Caterina e finalmente, non sapendo cosa dire, le risposi: ”No signora, i miei soldi non li meritate!” La signora rimase attonita, sorpresa, borbottò qualcosa ma non sentii. Presi in braccio Caterina, e tornai indietro. Giovanna mi abbracciò e ci incamminammo verso la macchina, in silenzio. Il sole, splendido sul panorama, era in antitesi con la mia amarezza per aver rovinato la giornata a tutti. Passando davanti al cancello del piccolo parco giochi, mi soffermai a rileggere l’infame cartello. Inaspettatamente Caterina mi diede un bacio dolce sulla guancia e mi sorrise. Non avevo fatto granché ma quel sole splendido iniziò a scaldare anche me.