Il nonno, come tutti gli anni in quel giorno, aprì il grande cassetto del vecchio armadio.
Prese una candela bianca e mi chiese di tenerla, mentre andava a cercare qualcosa dove poterla appoggiare e accendere. Era già consumata a metà e la cera, colata e raggrumata da una parte, formava una specie di cascata ferma, congelata nel tempo. Tornò dalla cucina con un vecchio piattino e un accendino.
Prese la candela dalle mie mani facendomi un sorriso, dolce come solo lui sapeva fare, e accese lo stoppino che dopo un po’ di incertezza si incendiò tremolante. Con sapiente lentezza inclinò la candela sul piattino e, dopo che qualche goccia della cera sciolta si era depositata sul piano, vi premette la candela sopra che così rimase in piedi come incollata.
“Ma perché fai questo nonno?” domandai curioso
“Lo faccio per te” rispose facendomi una carezza.
“Per me nonno? E che ci faccio con una candela accesa, e poi già consumata?”
“Vedi Marco, questa candela rappresenta la nostra memoria” iniziò mettendosi seduto sulla sua vecchia poltrona. Automaticamente mi prese in collo e io mi sistemai comodamente sulle sue gambe, sapevo che avrebbe iniziato a raccontarmi qualcosa, come faceva sempre.”
“Tanti anni fa, nel secolo scorso quando io ero piccolo, il mondo cadde in una guerra incredibile. Una nazione in particolare fu comandata da una capo malvagio che convinse tutto il popolo che ci fossero nel mondo degli esseri inferiori. Come dei parassiti che mettevano a repentaglio l’esistenza di chi invece, secondo lui, era perfetto, fisicamente e intellettualmente. Inventò così il concetto di razza.”
Lo interruppi un attimo “Ahh questa parola l’ho sentita quando parlano di razzismo per esempio contro il popolo o le persone di pelle nera, vero nonno?”
“Bravo, proprio quello, perché tu sai che gli uomini sono tutti uguali. La razza, se si può definire così è quella umana, di tutta la Terra. Poi ci sono i popoli, quello africano, quello asiatico, quello europeo. Ma siamo tutti uguali!”
Lo disse forte, con il dito indice verso i miei occhi, quasi a rimproverarmi.
“Guarda nonno che io lo so bene, non lo dire a me” gli risposi di rimando.
Mi accarezzò di nuovo “lo so perfettamente, amore del nonno, lo so, scusami. Ma allora non fu così. Quest’uomo si chiamava Adolf Hitler e comandò una cosa atroce, tremenda, terribile, disumana. Ordinò che un popolo intero, che lui definì di un’altra “razza”, fosse ucciso e sparisse dalla terra. Questo popolo erano gli Ebrei.”
“Ma come ucciso nonno?” chiesi incredulo.
“Si hai capito bene, catturato, ammazzato e poi bruciato.”
“Hitler circondato da comandanti avidi di potere, altrettanto pazzi e criminali, riuscì dopo il 1930 con la forza enorme del suo esercito e della sua orrenda politica, a invadere l’Austria, la Polonia, la Cecoslovacchia. Alcune nazioni come la Bulgaria, la Romania, l’Ungheria e, purtroppo, anche la nostra Italia, si allearono con Hitler”
Rimasi stupefatto e domandai incredulo “Nonno, ma che dici, anche l’Italia diventò cattiva?”
“Non tutta l’Italia e tutti gli Italiani, molti però si, purtroppo, chi credette in un uomo di nome Mussolini e nella sua politica che si chiamò Fascismo”
“Questi uomini, tolsero alle persone la libertà di pensare come volevano, di scrivere quello che desideravano, di imparare quella che era la verità della vita. Chi si opponeva a questo modo di fare, veniva arrestato, imprigionato e spesso ucciso”
Io ascoltavo stregato da questa storia.
“Hitler oltre a togliere la libertà della gente, come ti ho raccontato, ordinò la fine dell’esistenza degli ebrei in tutti i territori conquistati e quelli alleati. Anche Mussolini in Italia aderì a quest’ordine.”
“Tutti gli ebrei e anche altre persone, diciamo diverse, quelle di colore, i disabili, gli zingari e altri come gli omosessuali, furono presi e imprigionati in delle specie di grandi prigioni che si chiamavano Campi dì concentramento”
“Nonno” lo interruppi “ma chi sono gli omosessuali”
“Oh sono persone come me e te, come tutti, ma che Hitler considerava pericolosamente diversi. Cercherò dopo di spiegarti”.
“grazie nonno” risposi.
“In questi campi dì concentramento c’erano famiglie intere, mamme, babbi e bambini. A centinaia di migliaia, a milioni, in massa furono uccisi con del gas e poi bruciati in grandi forni”
“Ma nonno anche i bambini piccoli come me?” chiesi impaurito
“Si Marco, anche più piccoli di te”
Nel dire questo la sua voce parve incerta, gli occhi divennero più lucidi e una lacrima rigò la sua guancia, inoltrandosi nelle profonde rughe del volto e fermandosi sui peli un po’ ispidi della sua barba bianca.
Mi strinse forte a sé, forse per nascondere quel momento di debolezza, ma io lo percepii come un gesto di protezione da quello che quel racconto stava provocando in me.
“Ma perché nonno questo odio, non capisco”
“È proprio qui il problema, caro Marco” disse mentre con il grande fazzoletto a quadri, che lui chiamava “la pezzola”, si soffiò il naso e asciugò gli occhi.
“Ancora oggi molti si chiedono il perché di questo sterminio. Una cosa è certa, l’uomo è capace di odiare a tal punto di organizzare la fine dei suoi simili creando e manipolando la realtà che ci circonda”.
“Ma tu nonno come fai a conoscere tutte queste cose”
“Ah caro Marco io sono vecchio, molto vecchio, ho quasi 93 anni, tantissimi e fra un po’ il Signore mi vorrà in cielo. Oddio qualche peccato l’ho fatto anche io, vedremo cosa deciderà”
“Ma che dici Nonno” e lo strinsi forte.
“Stai tranquillo, questa è la vita. Come ti dicevo in quegli anni ero piccolo, ma quelle cose le ho vissute ed oggi ti svelerò una cosa che tu devi sapere”
Fatto questo si alzò e da una cassetta tirò fuori una vecchia scatola di latta. Era ingiallita, sopra c’era scritto “Biscotti Plasmon”, la aprì e tirò fuori delle vecchie foto in bianco e nero.
“Riconosci questa persona?” mi chiese porgendomene una.
“Questo sei tu e questa signora deve essere la nonna”
“Bravo, tu non la puoi ricordare perché la nonna Sara se n’è andata quando tu eri nato da poco, ma è proprio lei, vedi come è bella”
“Ora ti faccio vedere una cosa, vedi quest’altra foto più grande, dove ci sono le braccia in primo piano?”
“Si, si, vedo bene, la nonna sul polso ha come una scritta, forse dei numeri”
“Hai gli occhi buoni, bravo Marco. Per riconoscerli per sempre, agli ebrei tatuavano un numero sul polso. La Nonna era una di quei bambini rinchiusi in quei campi e destinati ad essere uccisi e bruciati. La fortuna volle che venisse liberata prima di essere ammazzata con la sua mamma, così si salvò e in seguito, da grande, sposò me. Poi è venuta tua mamma e ora ci sei tu che stai a sentirmi”
“Ma allora la nonna era una bambina Ebrea che si è salvata?” domandai.
“Bravo Marco, proprio così” disse il nonno sorridendo di nuovo commosso.
“Ma io questa storia non la conoscevo”
“Ecco il perché di questa candela Marco. La memoria purtroppo svanisce piano piano, si consuma sotto la fiamma viva dei ricordi. Quelli belli e quelli purtroppo brutti. Proprio come una candela. Allora per non perderli per sempre bisogna tramandarli, prendere un’altra candela, accendere la fiamma della memoria e farla vedere. Perché se si scordassero le cose orrende e gli sbagli fatti, l’uomo potrebbe ricadere in questi errori terribili”
“Ho capito nonno allora quando questa candela starà per finire ne accenderemo un’altra”
“Certo Marco e quando non ci sarò più la accenderai tu, saprai questa storia ancora meglio e racconterai tutto ai tuoi figli e ai tuoi nipotini, proprio come ho fatto io”
Scesi dalle gambe del nonno presi la candela e la misi sul davanzale della finestra in modo che si vedesse anche da fuori.
“Vedi nonno ora questi ricordi li vedranno anche da fuori”
“Bravissimo, ora vado a letto sono stanco, devo dormire e sognare il mio amore, la nonna Sara, che in ebraico vuol dire “principessa” proprio come era lei per me”
“Buonanotte e saluta la principessa allora” gli dissi salutandolo con la mano.
Mi sorrise e chiuse la porta della sua camera, io tornai alla finestra e guardai la candela. Pensai ai bambini morti per la pazzia dell’uomo e tutto quello che il nonno mi aveva raccontato. Pensai alla nonna Sara, a quei numeri che aveva sul polso.
La fiamma davanti a me tremò un attimo, la protessi subito con il palmo della mano. No, non potevo permettere che la memoria si spengesse, il nonno me l’aveva affidata e io l’avrei protetta per sempre.