“Io penso che potremo farcela” la frase dell’assessore irruppe nel pesante silenzio della riunione della giunta comunale. Nessuno da qualche minuto parlava.
L’incontro era di quelli importanti, di quelli nei quali si devono prendere decisioni che generano cambiamenti nelle abitudini della gente del paese.
Gli altri erano arrivati alla spicciolata, si erano salutati un po’ freddamente, come a evitare che si iniziasse a parlare dell’oggetto della riunione.
Poi tutti si erano rifugiati nello schermo dei loro cellulari in attesa che arrivasse il Sindaco.
Quando aprì la porta della stanza i volti si alzarono verso di lui, simultaneamente, come se dovesse da subito portare una soluzione a quel problema annoso.
Il Sindaco avvertì quel momento di sospensione, rimase fermo con la mano sulla maniglia per qualche secondo. Poi accennò un saluto e si mise a sedere, anche lui in silenzio, sfogliando i fogli che riportavano l’argomento in discussione.
“Si, io penso che potremo farcela” ripeté ancora l’assessore.
“Ma come?” si convinse finalmente a parlare il Sindaco.
“Vedi sindaco, gli interessi in gioco sono troppi” continuò l’assessore.
“Forse ha ragione” rinforzò il concetto la collega che gli stava accanto.
“Centinaia di migliaia di visitatori, centinaia di migliaia di euro, forse milioni di euro, tutta l’economia della zona aspetta questo evento”.
“E poi la tradizione, le emozioni di un popolo, dobbiamo trovare il sistema per farcela”.
Le parole erano decise, ma ovattate. Dalle loro mascherine uscivano attenuate come se quello che stavano dicendo non fosse così sicuro nelle loro intenzioni.
“Metteremo dei blocchi in tutte le strade” propose il Vice Sindaco “facendo quattro soli accessi principali”.
“Già” obiettó il Sindaco “però così avremmo una calca infernale alle entrate, non pensi agli assembramenti?”.
“Ma faremo come negli aeroporti” gli replicò l’assessore “una grande e ordinata serpentina, centinaia di metri di transenne, tutti saranno distanziati. Assumeremo diversi stuart per controllare”.
“I costi saranno enormi” disse il Sindaco “ma se pensate che possa funzionare allora mi prenderò questa responsabilità: il Perdono si farà!”
La decisione fu portata in consiglio ed approvata con la totalità dei voti.
La cittadinanza accolse la notizia con sorpresa. Molto si erano ormai convinti, che quell’anno tutto sarebbe stato rimandato a causa del virus. Poi invece prevalse la gioia del rinnovo di quei quattro giorni di festa. Un evento enorme, di richiamo nazionale, atteso tutto l’anno da centinaia di anni, nato nel pieno del Rinascimento Toscano e Italiano.
E venne il giorno dell’inizio della festa. Come detto la cittadina fu chiusa e vennero fatti quattro varchi. La gente cominciò ad arrivare fin dal venerdì, si accalcò agli ingressi e ai mille banchi della merce più svariata.
Non fu facile e non si riuscì completamente a controllare che tutti osservassero le norme emanate dal Sindaco che girava, un po’ preoccupato, per tutto il paese.
Ma oramai la “grande giostra” era stata messa in moto e fermarla sarebbe stato impossibile.
Alla sera del quarto giorno, quando la festa si stava avviando ormai alla fine e tutti attendevano solo i fuochi d’artificio finali, il Sindaco si concesse un attimo di quiete.
Ordinò un bel panino con la porchetta e da solo andò nel suo ufficio in comune. Salì le scale cadenzando i passi, nel silenzio del comune vuoto, aprì la porta, osservò i fogli sparsi sul tavolo soffermandosi a leggere un provvedimento che doveva essere discusso nel prossimo consiglio comunale.
Si fermò dopo qualche riga e pensò “eh no, oggi no, lo leggerò domani, mi merito proprio un bel panino”.
Stava per dare il primo morso, ma la bocca rimase aperta, lì a mezz’aria, il cellulare squillò e gli parve un suono duro che rimbombava nel vuoto della stanza.
Il nome che apparve in chiamata lo fece rabbrividire: USL Ospedale.
“Pronto sono il Sindaco” rispose con una voce che non sembrava essere la sua.
“Signor Sindaco purtroppo delle persone si sono sentite male, con i sintomi del virus e sono positive. Sono quattro: due sono ambulanti che hanno il banco al Perdono e due sono persone del Valdarno che sono state due giorni alla festa”.
Il panino gli cadde di mano, sapeva bene cosa occorresse fare, ma certo non si aspettava cosa sarebbe accaduto.
Con l’aiuto dei medici diramò un comunicato, cercando di infondere tranquillità ma la ricostruzione dei contatti portava solo un numero: migliaia di persone.
Dopo il comunicato fu solo il caos. Diecimila furono le telefonate iniziali al comune, agli ospedali, a tutti i presidi esistenti. Poi le linee si bloccarono perché troppo intasate. Le persone si recarono allora a migliaia ai pronti soccorsi per fare il tampone. Il sistema sanitario non resse e iniziarono i disordini.
La folla si radunò anche sotto il comune. Le transenne del Perdono, che per la confusione non era neanche terminato, servirono da “ariete” di sfondamento contro le forze di polizia a presidio del Comune.
L’onda impazzita e inferocita della folla voleva la testa del Sindaco che si era chiuso nella stanza come ultima difesa, come un re nell’ultima rocca del suo castello.
Da tutti, anche da quelli che avevano gioito della scelta presa, fu ritenuto l’unico responsabile. Per il popolo ci voleva un capro espiatorio.
La gente sfondò il cordone di polizia, salì urlando le scale del comune e entrò furibonda dentro la stanza del Sindaco.
I più facinorosi e feroci gli furono addosso, lo colpirono più volte poi aprirono la finestra con il chiaro intento di farla finita.
Proprio nell’attimo in cui il corpo volava giù nella piazza del paese, il Sindaco si svegliò di soprassalto, sudato seduto sul letto di casa, ansimante, con lo sguardo perduto nel buio della stanza.
Fu la mano rassicurante della moglie a tranquillizzarlo e a fargli capire che era stato solo un incubo, un brutto, bruttissimo sogno.
Andò in cucina, ancora scosso, per bere dell’acqua dal frigorifero. Mentre la frescura gli scendeva nel corpo pensò al giorno dopo. Avrebbe discusso nella giunta se fare o no il Perdono, ma quella volta sapeva già in anticipo quale sarebbe stata la sua decisone.