Avevo 2 anni quando nel 1958 ci fu assegnato un appartamento popolare “a riscatto” come si diceva. Pagando via via le varie rate di mensilità dopo molti anni si poteva riscattare l’appartamento e divenirne proprietari. Erano, per allora, grandi caseggiati o “casamenti”, tutti per gli operai dell’Italsider. Una sorta di villaggio. Gli impiegati e funzionari potevano invece fruire di casette unifamiliari con giardino e ingresso indipendente. I “villini” si chiamavano. La divisione sociale si avvertiva bene. Per noi, però, quelle due camere, cucina e soprattuto bagno erano una reggia. Non c’era ancora il riscaldamento e l’acqua calda veniva prodotta con una piccola caldaia a parte. La stufa era solo in cucina e d’inverno i letti freddi si scaldavano con lo scaldaletto. Se non ricordo male quel particolare telaio di legno si chiamava “frate” o “prete”, mentre dentro il cuore caldo, lo scaldino di ferro pieno di brace ardente e cenere, era senza dubbio la “cecia”. I casamenti nuovi erano quattro e in ognuno abitavano otto famiglie. Tutte abbastanza numerose, noi eravamo quattro figli, le altre una media di due, tre figli a famiglia. Un esercito di quasi cento scalmanati ragazzini che il pomeriggio dopo scuola si riversavano fuori a giocare a nascondino, campana, bandierina, mosca cieca e al calcio naturalmente. Non ci facevamo caso allora ma in quell’urlare, gioire, ridere, inseguirsi, piangere, quando si chiamava forte “MAMMA” perché avevamo dimenticato il pallone o volevamo merenda, di solito buonissimo pane con l’olio, in mezzo alle decine di richiami si affacciava sempre la mamma giusta, la tua. Lei ti riconosceva e sapeva subito se il richiamo era di aiuto, ricerca o soccorso per qualche ginocchio sbucciato.
Ora molte di quelle mamme non ci sono più e si sa “son tutte belle le mamme del mondo” anche se ti guardano da una vecchia foto sbiadita in bianco e nero. La mia, quasi 90 anni, c’è ancora per fortuna. Si muove appena e insieme a lei c’è giornalmente una persona. Noi quattro figli ci alterniamo e stiamo tutte le settimane con lei. Ormai sta quasi tutto il giorno nella sua poltrona, vicino alla finestra. Osserva dai vetri e dalle tendine alzate un piccolo spicchio di mondo vero, il resto le viene filtrato dai talk show della televisione sempre accesa davanti a lei. Stamani sono andato a trovarla con delle belle orchidee, le piacciono molto e so che lei alla “festa della mamma” ci tiene. Stavo per entrare dal portone del vecchio casamento dove, sempre al terzo piano, abita da quel lontano 1958. Non so cosa mi è preso, però ho fatto qualche passo indietro, ho alzato la testa verso la terrazza, dove dietro la finestra ero sicuro che lei ci fosse. Ho chiuso le mani come un megafono sulla bocca e nonostante il miei 63 anni l’ho chiamata forte come allora. “MAMMA” ho gridato con questa mia voce ormai già anziana. Ho aspettato qualche secondo e come per magia ho sentito la finestra aprirsi. Sapevo che non si poteva alzare, ma alla maniglia ci arriva bene. Con la sua voce, che mi è sembrato avere 50 anni di meno, mi ha rimproverato da dietro la finestra “ma non hai le chiavi?”. “Certo Mamma ora vengo su”. Si, ho pensato sorridendo, le mamme la tua voce la riconosceranno sempre, fino alla fine.