Il vissuto, la vita stessa, le azioni che poniamo in essere tutti i giorni, le emozioni, le passioni, perfino l’amore, si basano e si permeano su qualcosa che non è oggettivo e per tutti uguale.
Almeno così mi sto accorgendo. Nessuna cosa, mi pare, è in grado di assumere un valore intangibile. Per ognuno di noi i comportamenti, i sentimenti, le sensazioni non possono avere una sorta di riferimento universale che ci consenta di sistemarli in una posizione fissa uguale per tutti. Una sorta di misura; ecco un metro che metta tutti d’accordo su dove collocarli.
Forse a questo si avvicinano alcuni valori tradizionali che dovrebbero essere perseguiti e che divengono bene comune. Forse la tolleranza e il cercare di scrollarsi di dosso le piccole o grandi ipocrisie potrebbe essere la via a cui tendere. Il confronto aperto non solo alla propria interpretazione, potrebbe migliorare tutto, anche se, sono certo, non sarebbe un percorso facile. Consentire agli altri di esprimere le proprie percezioni anche se poi sono le nostre le convinzioni che finiscono per sembrarci le più giuste. Vedere quello che accade rispetto al contesto che ci circonda, con disponibilità e libertà, senza pensare solo a noi stessi, senza particolari egoismi personali. Che stia diventando relativista?
Certo il Cancro, oltre a essere una bastarda malattia, ti da una opportunità unica. Quella di aprire la vista a cose che avevi davanti ma che certe volte non riuscivi a percepire. Alla struggente bellezza di un tramonto, a quello che si ha e si è riusciti a creare. Il lavoro e il riposo, i tuoi figli e l’amore per tua moglie. Scopri che ci possiamo tranquillamente emozionare per una poesia, per una canzone, per un bacio. Che soffriamo per le ingiustizie che il mondo vive e che non possiamo sottrarci al tentativo di dimostrarlo in qualche maniera.
Ecco questo penso mentre le gocce della mia terapia mi scorrono lente nelle vene e sono tentato di compatirmi per quello che vivo, per quello che la vita mi ha riservato o per quanto mi resta da vivere. Poi ad un tratto vicino a me mettono un bambino di otto anni, completamente senza capelli e sopracciglia. Vede che ho lo smartphone come il suo e mi domanda se possiamo giocare ad una sorta di battaglia. È bravissimo, mi collega con il suo aggeggio e giochiamo. E mentre giochiamo (e perdo) tutto mi appare relativo e capisco meglio a che battaglia stiamo giocando.