Ero stato promosso bene, come diceva la mia mamma, dalla seconda alla terza media e inaspettatamente mi fu regalata una bicicletta. Rossa, con i rapporti, era usata e anche un po’ grande per me, ma era il massimo per le misere finanze che il babbo, operaio con 4 figli, poteva permettersi. Partivo con un po’ di difficoltà e pedalavo con un andatura un po’ altanelante per arrivare ai pedali. Quando mi fermavo dovevo scendere dal sellino sedendomi praticamente sulla canna, però per me era il massimo; finalmente autonomia di movimento. Pedalavo quel giorno caldo di luglio in un paese praticamente vuoto. La gente era in casa oppure affollava i bar, tutti a guardare la televisione. Qualcuno stava anche davanti ai negozi di elettrodomestici che avevano i televisori in vendita tutti accesi e rivolti verso le vetrine. Ero andato a comprare il pane ma volevo tornare a casa veloce. Quel giorno l’uomo sarebbe arrivato sulla luna. Raggiunsi casa rapidamente e posai la bicicletta, chiusi con cura il meccanismo antifurto, che allora era una specie di cilindro che passava tra i raggi della bicicletta e chiudendosi scattava facendo espellere una piccola e per me preziosa chiave di metallo. Scoprii qualche settimana più tardi quanto fosse insufficiente quella sicurezza, quando quel bel regalo sparì con tutto la contentezza di allora.
Salii le scale del palazzo popolare dove abitavo e mi misi davanti
all’elettrodomestico più prezioso del nostro misero patrimonio
tecnologico di allora comprensivo di una radio e di un registratore
marca “Geloso”.
Le immagini in bianco e nero, le persiane di cucina semichiuse, la
penombra di quel pomeriggio, donavano a tutto l’ambiente un tocco
ipnotico, magico, misterioso. Non mi mossi più dalla mia sedia e segui
tutte le trasmissioni. Mi affascinò la visione di un già allora vecchio
film di fantascienza: “Il pianeta proibito”, mentre riuscii a seguire
anche i telegiornali.
Quando arrivò il momento dell’allunnaggio fu silenzio assoluto,
religioso, emozionante. Tutto era fermo, gli occhi sulla televisione
attenti alle voci di Tito Stagno e Ruggero Orlando. “Ha toccato” e in
casa mia partì un applauso, eravamo tanti anche i vicini che non avevano
la tv. Mia mamma si commosse, mentre io ridevo perché Orlando stava
dicendo che ancora non erano arrivati al suolo lunare e mancavano dieci
metri.
Oggi meglio comprendo le lacrime di mia mamma che ora ha novant’anni e
ancora difficilmente comprende come possa vedermi da New York e parlarmi
al cellulare contemporaneamente. In questi giorni provo una bellezza
nostalgica nel ricordare quel giorno, il giorno della Luna. Un momento
che ha rappresentato lo spartiacque dell’epoca moderna, un attimo
struggente dal quale emergono chiari i sentimenti di allora di mia madre
e che immancabilmente oggi finisce per commuovere profondamente anche
me.