C’è un microcosmo nelle sale d’attesa degli ospedali. Regna sovrana una vecchia signora. Il suo nome è conosciuto a tutti si chiama Attesa. L’attesa nei corridoi degli ospedali è una cosa strana, uno stato d’animo, un tempo che rallenta o accelera senza spiegazione. Si entra, nei corridoi degli ospedali, in un’altra dimensione, si chiama “2×2”, sono metri quelli, quattro metri quadrati di vite che si accostano. Storie di persone, di malattie, di pezzi di frasi, di storie di vita, di precedenze pretese e controllate con il corpo e gli occhi. In quello spazio si entra nelle esistenza degli altri, attimi di attesa, poi le frasi, quelle storie e le loro vite, si perdono dietro un camice bianco di un dottore che declina il tuo nome come quel vecchio professore che faceva l’appello. In quei due metri per due hai tempo, nei corridoi d’ospedale, per guardare le strisce del linoleum che stanno sotto i tuoi piedi e ti distrae solo quella voce alta di una vecchia signora che risponde al telefono “voi mangiate pure perché qui c’è ancora molto d’aspettare” poi esce da questo spazio comune; peccato non ho neanche saputo il nome di chi ha salutato, non fa niente io intanto mi rimetto in attesa.