Orpello di scarsa utilità, la cravatta, più che indumento è un simbolo. Sinonimo di eleganza, la sua assenza in certi contesti ha rappresentato una sorta di comportamento “anarchico”, di ribellione all’ambiente circostante, al sistema. Ne posso ben parlare io che per quarant’anni ho indossato questo accessorio nello scenario più emblematico che si possa immaginare: la banca. Per il dovuto rispetto alle istituzioni, la cravatta, è indispensabile nei due rami del Parlamento. Tutti, pian piano, finiscono per indossarla. Lo hanno fatto trasgressivi radicali, refrattari ex sessantottini molto più avvezzi ad eschimi verdi, fino a chi odiava la “casta” politica e ha finito per diventarne parte integrante.
Dibattuta è l’origine di questo accessorio. Molti fatti deporrebbero a favore del popolo Croato e alla Guerra dei Trent’anni nella prima metà del 1600. In quel tempo i mercenari della Croazia al soldo dei francesi, indossavano dei foulard annodati. “Croates” li chiamavano i francesi e da qui sembrerebbe derivare la parola “cravate” data a quei foulard. Fu poi Luigi XIV a indossare vistose cravatte di pizzo e far divenire questo accessorio una moda tra i nobili.
In verità già nel 1590, Cesare Vecellio, cugino del celebre Tiziano e pittore di gran minore importanza, aveva pubblicato un libro sugli indumenti nella storia antica e moderna citando proprio il nome cravatta.
Ma c’è una ballata della fine del 1300 anch’essa francese, di Eustache Deschamps, colui che forse inventò proprio il genere poetico della “ballata” che si intitola “Riannodate la sua cravatta” (Faite restraindre sa cravate).
Comunque ce l’avevano i cinesi di Xian in stampe antiche e anche l’esercito Romano.
Ma allora in verità è un simbolo antico, altro che orpello inutile. Ricco di significato può essere il vestirle, ancora di più a toglierle. Ieri sera lo ha fatto Luigi di Maio alla fine di un lungo discorso politico e personale, conferendo a questo gesto il significato più vecchio e ancestrale legato quell’accessorio stretto al collo.
Lo avevano ideato i nostri antenati preistorici. I testicoli essiccati dei nemici, infatti, venivano messi al collo; era un’esternazione della propria forza. Questi “penzolanti” orpelli venivano mostrati per documentare il proprio coraggio e poi offerti alla tribù per palesare il proprio valore.
Ecco così il cerchio si chiude. Un Movimento, nato da un “vaffanculo” al sistema e ai partiti, diviene, con quel gesto, sistema e partito antico.
Ci sono le rivendicazioni, le divisioni, i tradimenti, il fuoco incrociato, l’elenco delle cose belle fatte scantonando dal dire se funzionino o meno e, inevitabilmente, le vendette. Ma ci sono soprattutto i “nemici”, quelli veri, dall’interno del Movimento, proprio quelli che “uno vale uno”, quelli “tutti uguali”. Dei nemici non si dice i nomi, ma ci sono quei “testicoli” al collo e ora invece di sembrare un bella cravatta inutile, si possono mostrare e donare alla “tribu”.
Si ora il Movimento è davvero diventato come un vecchio partito, con i suoi linguaggi e polverose liturgie. Come tale ora dopo avere professato e annunciato una utopica e immaginifica rivoluzione, può offrirsi ai malinconici colori del tramonto e dei venti tenui di un passato veloce, al quale potranno “garrire” dolcemente gloriose cravatte colorate.